Licenziamento. La rilevanza del giudicato penale nel processo civile. Il concetto di colpa ed il nesso di causalità.

TRIBUNALE DI MILANO Sezione Lavoro – Sentenza n. 612/2020 - Giudice: dott.ssa Eleonora Maria Velia Porcelli

Massime:

L’efficacia del giudicato penale nel processo civile: [..] il giudicato di assoluzione ha effetto preclusivo nel giudizio civile solo quando contenga un effettivo e specifico accertamento circa l’insussistenza del fatto o della partecipazione dell’imputato e non anche quando l’assoluzione sia determinata dall’accertamento dell’insussistenza di sufficienti elementi di prova circa la commissione del fatto o l’attribuibilità di esso all’imputato e cioè quando l’assoluzione sia stata pronunciata a norma dell’art 530 comma 2 c.p.p.. […].Sotto il profilo soggettivo è altresì necessario che vi sia coincidenza delle parti tra il giudizio penale e quello civile, e cioè che non soltanto l’imputato ma anche il responsabile civile e parte civile abbiano partecipato al processo penale [….]”.

 

Il concetto di colpa ed il nesso di causalità nel processo civile, differenze rispetto al processo penale: la colpa ed il nesso di causalità, quali elementi costitutivi dell’illecito “sono in ambito civile intesi diversamente che in ambito penale. Quanto alla prima, si è da questa Corte costantemente posto in rilievo come sia ormai da tempo tramontata la concezione etica della responsabilità civile informata sulla concezione psicologica della colpa, propria invero del diritto penale rilevando essa (non solo nell’adempimento delle obbligazioni ma anche nei comuni rapporti della vita di relazione: Cfr.,27/8/2014 n.18304, e, da ultimo, Cass., 20/2/2015 n.3367; Cass., 8/5/2015, n9294) in termini di colpa obbiettiva, e cioè quale violazione del modello di condotta cui il debitore del rapporto obbligatorio e il soggetto dei comuni rapporti della vita di relazione sono tenuti ad improntare la propria condotta (v. Sent. Cass.,27/10/2015 n 21782; Cass., 20/2/2015 n.3367; Cass. 8/5/2015 n.9294; Cass., 27/8/2014 n.18304); in altri termini, quale violazione dello sforzo diligente dovuto in relazione alle circostanze del caso concreto adeguato ad evitare che la prestazione di adempimento o il comportamento da mantenersi arrechino danno (anche) a terzi (Cfr. Cass., 6/5/2015 n.8989; e, in diverso ambito, Cass., 20/02/2006, n. 3651) Con particolare riferimento al nesso di causalità è d’altro canto noto che, mentre nel processo penale vige la regola della prova “oltre ogni ragionevole dubbio” in materia civile opera la diversa regola della preponderanza dell’evidenza o del “più probabile che non”(v.  Cass. Sez. Un., 11/1/2008 n576; Cass., 16/10/2007., n.21619). A tale stregua, può risultare non integrata la fattispecie di reato, per difetto dell’elemento del nesso di causalità in ragione della impossibilità di ritenersi – in base al giudizio di “alta probabilità logica” – nel caso concreto esso provato oltre ogni ragionevole dubbio (e pertanto in termini di –quasi- certezza: v. Cass.., sez. un.  Pen. 10/7/2002 n.30328 e, da ultimo, Cass. pen. Sez. f., 25/08/2015, n41158; Cass. pen.. sez. 4, 19/3/2015, n. 22378) e al contempo per converso configurabile la responsabilità civile del debitore/danneggiante, in ragione dell’ascrivibilità in termini di preponderanza dell’evidenza (“più probabile che non”) dell’evento lesivo della sua condotta dolosa o colposa, quest’ultima propriamente costituendone il criterio di imputazione”.

 

Nota:

il caso in analisi riguarda l’opposizione proposta da un lavoratore avverso il licenziamento senza preavviso intimato a quest’ultimo a seguito del formale procedimento disciplinare in ragione delle dichiarazioni di una lavoratrice -collega di quest’ultimo- la quale riferiva di aver subito molestie (verbali e fisiche) dal medesimo opponente.

A conferire attendibilità a quanto dichiarato dalla signora sono state le ulteriori dichiarazioni rilasciate da altre lavoratrici -anch’esse dipendenti della medesima azienda- le quali confermavano che il ricorrente avesse in passato già posto in essere comportamenti lesivi dei loro interessi nonché della loro dignità.

I fatti descritti sopra in narrativa hanno esposto l’opponente ad un procedimento penale essendo quest’ultimo imputato per il reato di violenza sessuale di cui all’art 609 bis c.p.; il procedimento penale si è concluso con sentenza di assoluzione, divenuta irrevocabile e pertanto ai sensi dell’art 654 c.p.p. - che prevede testualmente che “Nei confronti dell’imputato, della parte civile e del responsabile civile che si sia costituito o che sia intervenuto nel processo penale, la sentenza penale irrevocabile di condanna o di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo, quando in questo si controverte intorno a un diritto o a un interesse legittimo il cui riconoscimento dipende dall’accertamento degli stessi fatti materiali che furono oggetto del giudizio penale, purché i fatti accertati siano stati ritenuti rilevanti ai fini della decisione penale e purché la legge civile non ponga limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa.” - l’opponente, nel corso del giudizio civile ha tentato di beneficiare del giudicato penale per veder soddisfatte le sue richieste.

Tuttavia, il Giudice allineandosi con gli orientamenti della Suprema Corte e rilevato che nel caso di specie l’assoluzione dell’opponente richiamava espressamente l’art 530 comma 2 c.p.p., osservava appunto che il giudicato di assoluzione del processo penale ha effetto preclusivo nel giudizio civile allorquando vi sia uno specifico e concreto accertamento circa l’insussistenza del fatto o l’impossibilità di attribuire questo all’imputato, non anche quando l’assoluzione sia determinata dall’insussistenza di sufficienti elementi di prova circa la commissione del fatto o l’attribuibilità di questo all’imputato fattispecie appunto astrattamente prevista dal secondo comma del sopra richiamato art 530 c.p.p..

Ancora, il Giudice rileva che “sotto il profilo soggettivo è altresì necessario che vi sia coincidenza delle parti tra il giudizio penale e quello civile, e cioè che non soltanto l’imputato ma anche il responsabile civile abbiano partecipato al processo penale.” (Cass., 20/9/2006 . 20325)

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