Licenziamento. Appropriazione indebita di somme di danaro. Presupposti e nozione di “giusta casa”.
TRIBUNALE DI SALERNO – Sezione Lavoro – Decreto di rigetto n. cronol. 32240 del 20 dicembre 2019 – Giudice Dott. G. Magro.
Massime:
Irrilevanza degli stati emotivi nella violazione di prescrizioni aziendali: il rispetto di regole di condotta vincolanti non può essere subordinato all’integrità degli stati emotivi dei destinatari pena la vanificazione sostanziale delle regole stesse.
Lesione dell’immagine datoriale in conseguenza ad inadempimenti del prestatore di lavoro: “Non ricevere alcuna ricevuta a fronte dell’acquisto di un determinato prodotto e del suo regolare pagamento porta inevitabilmente l’acquirente a dubitare sulla correttezza e integrità del venditore […] l’immagine della società non può che essere intaccata”
La giusta causa del licenziamento ai fini della legittima irrogazione del licenziamento: la giusta causa del licenziamento è nozione legale rispetto alla quale non sono vincolanti – al contrario che per le sanzioni disciplinari con effetto conservativo – le previsioni dei contratti collettivi che hanno valenza esemplificativa e non precludono l’autonoma valutazione del giudice di merito in ordine alla idoneità delle specifiche condotte a compromettere il vincolo fiduciario tra datore e lavoratore, con il solo limite che non può essere irrogato un licenziamento per giusta causa quando questo costituisca una sanzione più grave di quella prevista dal contratto collettivo in relazione ad una determinata infrazione
Proporzionalità della sanzione espulsiva: nel caso del licenziamento per giusta causa in conseguenza all’abusivo impossessamento di beni aziendali da parte del dipendente, ai fini della valutazione della proporzionalità tra fatto addebitato e recesso viene in considerazione non l’assenza o la speciale tenuità del danno patrimoniale ma la ripercussione sul rapporto di una condotta suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento in quanto sintomatica di un certo atteggiarsi del lavoratore rispetto agli obblighi assunti.
Nota:
Il caso oggetto di analisi riguarda il licenziamento per giusta causa irrogato ad un dipendente in conseguenza ad un episodio di appropriazione indebita di proventi aziendali derivanti dalla vendita di beni anch’essi di proprietà dell’azienda, il tutto, durante lo svolgimento dell’attività lavorativa e in danno al datore di lavoro.
In particolare, il lavoratore era incaricato di svolgere una prestazione lavorativa che per sua natura comporta la detenzione ed il maneggio di denaro provento di vendite di beni aziendali; nella giornata in questione, l’azienda apprendeva che l’operatore durante il servizio pur ricevendo i corrispettivi in denaro per l’acquisto di prodotti non rilasciava alla clientela alcuno scontrino, il tutto per ben tre volte, ed ancor più grave non rimetteva gli incassi percepiti nella disponibilità della società datrice di lavoro. In ragione dei fatti di cui sopra in narrativa, l’azienda intraprendeva il procedimento disciplinare nei confronti dell’operatore ed all’esito dello stesso irrogava la sanzione espulsiva del licenziamento per giusta causa.
Orbene, atteso che lo svolgimento della specifica prestazione lavorativa (come unico operatore) da parte del ricorrente e che la mancata emissione degli scontrini fiscali sono circostanze comprovate anche grazie all’ esplicita ammissione di parte ricorrente, in sede di istruttoria, il Giudice focalizza la sua attenzione in primo luogo sull’inconferenza di quanto dedotto da parte ricorrente in ordine al malfunzionamento dell’apposito strumento per l’emissione di scontrini e/o ricevute fiscali. Infatti, premesso che il lavoratore era a conoscenza delle procedure aziendali a cui attenersi in caso di malfunzionamento, la veridicità di quanto dedotto viene meno grazie all’analisi dei documenti allegati da parte resistente, da cui si evince che in una fase immediatamente successiva a quella oggetto di contestazione è stato emesso regolare scontrino fiscale, dal medesimo lavoratore e con il medesimo strumento, il tutto, a riprova dell’infondatezza di quanto assunto da parte ricorrente.
Inoltre, lo stato emotivo di “forte stress”, che il lavoratore identifica come causa della sua condotta, non vale ad esentare o ad attenuare il profilo di responsabilità del ricorrente per quanto occorso e per la violazione delle prescrizioni aziendali da esso perpetrata; specie se i suddetti turbamenti siano privi di supporto probatorio e se le violazioni perpetrate consistano in comportamenti tali da compromettere il vincolo fiduciario tra datore di lavoro ed il prestatore.
L’organo giudicante - in merito al “danno di immagine” perpetrato all’azienda datrice di lavoro - osserva che certamente la clientela, allorquando a seguito dell’acquisto di un bene dietro corrispettivo in denaro rileva la mancata emissione di uno scontrino fiscale, è certamente indotta a dubitare della correttezza e dell’integrità del venditore (ossia dell’azienda datrice di lavoratore). Inoltre, senza sottacere che premesso quando sopra, il Giudice non manca di porre in rilievo il danno arrecato direttamente al datore di lavoro, in quanto la mancata emissione degli scontrini e/o ricevute fiscali rende meno agevole una quadratura delle contabilità aziendale ed espone il datore di lavoro al pericolo di sanzioni amministrative che, oltre che pecuniarie, possono anche consistere nella sospensione di licenza ovvero dell’autorizzazione dall’esercizio dell’attività.
La mancata emissione degli scontrini fiscali è aggravata dalla circostanza ben più grave e comprovata della distrazione dei corrispettivi non registrati, rilevata grazie al raffronto delle somme rimesse nella disponibilità del datore di lavoro e quelle che risultano dalla documentazione fiscale, infatti, ove il lavoratore avesse mancato esclusivamente di emettere gli scontrini fiscali per il disatteso malfunzionamento dell’apposito strumento e/o per il forte stress emotivo a cui era soggetto, avrebbe comunque messo nella disponibilità del datore di lavoro gli importi da egli ricevuti, con ciò il totale delle somme presenti in cassa sarebbe stato superiore a quello risultante dai conteggi fiscali.
Confermata la condotta materialmente imputata al Ricorrente, l’organo giudicante rileva che la gravità dell’episodio non possa essere attenuato dalla modesta entità della somma sottratta ossia dal contenuto nocumento economico procurato all’azienda, ovvero, dall’ascrivibilità dell’episodio ad un arco temporale circoscritto ad un'unica giornata, nonché dall’assenza di trascorsi procedimenti disciplinari della medesima natura. Infatti, come più volte rilevato dalla giurisprudenza di legittimità, ad assumere rilievo è il valore sintomatico della condotta posta in essere, che deve essere tale da compromettere la fiducia del datore di lavoro verso il lavoratore (Cort. Cass. n. 8816 del 5.04.2017 e Cort. Cass. n 19684 del 18.09.2014), il tutto senza sottacere che “la regolare emissione dello scontrino fiscale per le merci vendute rappresenta per il lavoratore con mansioni di cassiere un dovere fondamentale insito in siffatta posizione lavorativa” e che essendo il dipendente addetto alle vendite della merce aziendale e all’incasso dei relativi corrispettivi, occorre la sussistenza di un “particolare vincolo fiduciario, irreparabilmente compromesso dall’accertata appropriazione.
La tenuità del danno e la mancanza di precedenti disciplinari non sono circostanze in sé decisive, dovendo piuttosto valutare se l’inadempimento contestato sia idoneo ad incidere sulla prognosi di futura correttezza dell’adempimento dell’obbligazione lavorativa. Orbene la condotta posta in essere deve assumere una rilievo sintomatico, nel senso che tale condotta, per sua natura, deve inficiare sulla fiducia che il datore di lavoro rimette sul proprio prestatore di lavoro.
Infatti, il giudicante conferma quanto già più volte osservato dalla giurisprudenza, ossia che presupposto del licenziamento per giusta causa è la compromissione del vincolo fiduciario tra il lavoratore ed il datore di lavoro, inoltre, essendo la “giusta causa” nozione legale, l’autorità giudiziaria gode di completa autonomia nel valutare se la condotta ascritta al prestatore di lavoro possa essere o meno idonea a compromettere tale vincolo. Infatti, contrariamente a quanto dedotto da parte ricorrente, la mancanza di un esplicito riferimento del CCNL di settore alla condotta posta in essere non inficia la legittimità del provvedimento espulsivo; l’unico limite posto dai contratti collettivi è che “non può essere irrogato un licenziamento per giusta causa quando questo costituisca una sanzione più grave da quella prevista nel contratto collettivo in relazione ad una determinata infrazione” (Cort. Cass. – Sez. Lav. n. 19023 del 16.07.2019).