Licenziamento per giusta causa – principio di proporzionalita’ – principio di tempestivita’.
TRIBUNALE DI NAPOLI - Sezione Lavoro - Sentenza del 27.04.2018 n. 3050 – Giudice: Dott.ssa C. Sarno
Massime: Giusta causa del licenziamento - Proporzionalità della sanzione.
Per stabilire l’esistenza di una giusta causa di licenziamento occorre accertare in concreto se, in relazione alla qualità del singolo rapporto intercorso tra le parti, alla posizione che in esso abbia avuto il prestatore di lavoro, e, quindi, alla qualità ed al grado del particolare vincolo di fiducia che quel rapporto comportava, la specifica mancanza commessa dal dipendente, considerata e valutata non solo nel suo contenuto obbiettivo, ma anche nella sua portata soggettiva, specie con riferimento alle particolari circostanze e condizioni in cui è stata posta in essere, ai suoi modi, ai suoi effetti ed all’intensità dell’elemento psicologico dell’agente, risulti obiettivamente e subiettivamene idonea a ledere, in modo grave, così da farla venire meno, la fiducia che il datore di lavoro ripone nel proprio dipendente e tale, quindi, da esigere una sanzione non minore di quella massima, definitivamente espulsiva.
Note:
il caso analizzato dalle pronunce agli atti dello studio ha ad oggetto un licenziamento irrogato a seguito di episodi di appropriazione indebita ai danni del datore di lavoro commessi durante lo svolgimento dell’attività lavorativa attraverso modalità elusive riscontrate dal datore di lavoro all’uopo incaricando una agenzia investigativa. Nello specifico, la prestazione lavorativa svolta dal lavoratore comportava la detenzione ed il maneggio di denaro aziendale (provento di vendite di beni anch’essi di proprietà aziendale), del quale il lavoratore aveva la custodia e l’obbligo di farne versamento al termine della prestazione. Avverso il suddetto provvedimento espulsivo, il lavoratore, prima con ricorso introduttivo ex art. 1 c. 48 L. 92/2012 poi con ricorso in opposizione ex art. 1 c. 51 della medesima Legge, proponeva impugnativa, adducendo diversi profili di illegittimità del licenziamento comminatogli.
Il Tribunale, nel rigettare la domanda formulata con atto introduttivo ha confermato, anche in fase di opposizione, la legittimità del licenziamento disciplinare della dipendente focalizzava l’esame sulla valutazione del quantum della sanzione.
Con particolare riguardo alle censure mosse in tema di proporzionalità del licenziamento, il G. si è allineato a quella consolidata posizione della S.C. che ha richiesto una valutazione complessiva degli elementi soggettivi ed oggettivi posti a fondamento della sanzione disciplinare : “Per stabilire l’esistenza di una giusta causa di licenziamento occorre accertare in concreto se, in relazione alla qualità del singolo rapporto intercorso tra le parti, alla posizione che in esso abbia avuto il prestatore di lavoro, e, quindi, alla qualità ed al grado del particolare vincolo di fiducia che quel rapporto comportava, la specifica mancanza commessa dal dipendente, considerata e valutata non solo nel suo contenuto obbiettivo, ma anche nella sua portata soggettiva, specie con riferimento alle particolari circostanze e condizioni in cui è stata posta in essere, ai suoi modi, ai suoi effetti ed all’intensità dell’elemento psicologico dell’agente, risulti obiettivamente e subiettivamene idonea a ledere, in modo grave, così da farla venire meno, la fiducia che il datore di lavoro ripone nel proprio dipendente e tale, quindi, da esigere una sanzione non minore di quella massima, definitivamente espulsiva.” (Cfr tra le altre Cass. lav., 25.5.95, n. 5742).
Ed allora, la condotta del dipendente deve essere valutata non solo nel suo contenuto obbiettivo, ma anche con specifico riferimento all’ elemento soggettivo che la sorregge, nel caso di specie certamente integrato, posto che la mancata restituzione del danaro da parte del dipendente non può che essere compatibile con la volontà di trattenerlo ed utilizzarlo.
Quanto al dato oggettivo, ha ritenuto il giudice che nel caso di specie occorreva tener conto del ruolo rappresentativo rivestito dal dipendente addetto allo svolgimento di mansioni che richiedono il maneggio di denaro aziendale in pubblico.
Pertanto, appurati i fatti alla stregua dei suddetti canoni i Giudici, nel caso di specie, hanno riconosciuto la grave compromissione del vincolo fiduciario anche in ragione dell’evidente danno all’immagine subito dall’azienda in conseguenza della condotta di chi, in pubblico, si appropri indebitamente del denaro a danno della società, assurgendo a modello diseducativo nei confronti dei restanti colleghi.