Licenziamento disciplinare per giusta causa. Appropriazione indebita di somme spettanti al datore di lavoro.

TRIBUNALE DI MILANO – Sezione Lavoro – 13.11.2017 n. 28588 – Est. R. Atanasio.           

TRIBUNALE DI MILANO – Sezione Lavoro – 30 giugno 2018 n. 1841 – Est. R. Atanasio.

Massima: Appropriazione da parte del lavoratore di somme spettanti al datore di lavoro – Compromissione del vincolo fiduciario sotteso al rapporto di lavoro – appropriazione indebita.

Il reato di appropriazione indebita è un reato a consumazione immediata che si verifica nel momento (e nel luogo) in cui l’agente tiene consapevolmente un comportamento oggettivamente eccedente la sfera delle facoltà ricomprese nel titolo del suo possesso ed incompatibile con il diritto del proprietario.

Nota: il caso analizzato dalle pronunce agli atti dello studio ha ad oggetto un licenziamento irrogato a seguito di episodi di appropriazione indebita ai danni del datore di lavoro commessi durante lo svolgimento dell’attività lavorativa attraverso modalità elusive riscontrate dal datore di lavoro all’uopo incaricando una agenzia investigativa.

Nello specifico, la prestazione lavorativa svolta dal lavoratore comportava la detenzione ed il maneggio di denaro aziendale (provento di vendite di beni anch’essi di proprietà aziendale), del quale il lavoratore aveva la custodia e l’obbligo di farne versamento al termine della prestazione. Avverso il suddetto provvedimento espulsivo, il lavoratore, prima con ricorso introduttivo ex art. 1 c. 48 L. 92/2012 poi con ricorso in opposizione ex art. 1 c. 51 della medesima Legge, proponeva impugnativa, adducendo l’illegittimità del licenziamento comminatogli.

Nella pronuncia in commento il giudicante ritiene di far sue tutte le statuizioni presenti nell’ordinanza opposta.

Dunque, nell’allinearsi a quanto sostenuto nelle pregresse fasi del giudizio, il Tribunale di Milano ha riconosciuto che le condotte poste in essere dal ricorrente determinavano, negli effetti, quella grave compromissione del vincolo fiduciario che giustifica il licenziamento per giusta causa, ciò anche in ragione del disvalore sociale rivestito dalla condotta di chi, addetto allo svolgimento di mansioni che richiedano il maneggio di denaro aziendale, trattenga consapevolmente presso di sé il danaro in maniera del tutto ingiustificata.

Ed in particolare, ritiene di precisare l’organo giudicante che la mancata restituzione del danaro da parte del dipendente non può che essere compatibile con la volontà di trattenerlo ed utilizzarlo, per cui sono integrati gli estremi del reato di appropriazione indebita.

Sulla scorta di tali ultime considerazione, precisa il Tribunale che: “il denaro – per sua natura – può essere utilizzato per gli usi più diversi e solo successivamente restituito; tale circostanza non impedisce di ritenere che l’appropriazione ci sia stata. Il fatto che sia stato a disposizione del ricorrente anche solo per un mese può aver consentito all’interessato di utilizzarlo per esigenze contingenti per poi provvedere a restituirlo”. 

Ed ancora, il giudice, nel far sue le considerazioni della S.C. sulla natura delittuosa della condotta posta in essere dal dipendente, ha ritenuto negli effetti già consumata l’appropriazione: “il reato di appropriazione indebita è un reato a consumazione immediata che si verifica nel momento (e nel luogo) in cui l’agente tiene consapevolmente un comportamento oggettivamente eccedente la sfera delle facoltà ricomprese nel titolo del suo possesso ed incompatibile con il diritto del proprietario”(Cfr. Cassazione

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