Tutela giurisdizionale nella liquidazione giudiziale – chiamata in causa del terzo – difetto di litisconsorzio.

TRIBUNALE DI MILANO - Sezione Lavoro - Sentenza del 12.10.2017 n. 1769 – Giudice: Dott. ssa Eleonora De Carlo

Massima

  • In caso di sottoposizione ad amministrazione straordinaria della società datrice di lavoro, deve distinguersi tra le domande del lavoratore che mirano a pronunce di mero accertamento oppure costitutive (ad esempio, domanda di annullamento del licenziamento e di reintegrazione nel posto di lavoro) e domande dirette alla condanna al pagamento di somme di denaro (anche se accompagnate da domande di accertamento o costitutive aventi funzione strumentale). Per le prime va, infatti, riconosciuta la perdurante competenza del giudice del lavoro, mentre per le seconde opera (diversamente dal caso del fallimento, in cui si rinviene l’attrazione del foro fallimentare) la regola della improcedibilità o improseguibilità della domanda, per difetto temporaneo di giurisdizione per tutta la durata della fase amministrativa di accertamento dello stato passivo dinanzi ai competenti organi della procedura, ferma restando l’assoggettabilità del provvedimento attinente allo stato passivo ad opposizione o impugnazione davanti al tribunale fallimentare.
  • tra datore di lavoro, lavoratore ed ente previdenziale non è configurabile un rapporto trilatero, ma tre rapporti bilaterali; ne consegue che deve escludersi la sussistenza di una situazione di litisconsorzio necessario con l’ente previdenziale in relazione alla domanda con la quale il lavoratore avanzi pretese di contenuto contributivo nei confronti del datore di lavoro

Note:

            La pronuncia suindicata, agli atti dello Scrivente Studio, ha avuto origine dalla pretesa creditoria avanzata da alcuni lavoratori per crediti lavorativi, previdenziali nonché differenze retributive conseguenti al passaggio ad inquadramento superiore, fatti valere nei confronti di cinque diverse società, tutte chiamate in giudizio dal ricorrente sulla base del presupposto che tra esse erano intercorsi rapporti contrattuali.

Ed infatti, la società OMISSIS era risultata aggiudicataria della gara d’appalto indetta da OMISSIS, l’impresa appaltatrice aveva quindi provveduto ad affidare parte dei servizi ad essa affidati alla società OMISSI, la quale li eseguiva attraverso proprie consorziate.

Nel dichiarare il ricorso in parte non accoglibile ed in parte improcedibile, la pronuncia ha offerto al tribunale lo spunto per intervenire sulle questioni di seguito specificate.

La prima tematica che rileva trattare è quella della corretta identificazione della giurisdizione nel caso di pretesa spiegata nei confronti di una società in posizione di liquidazione coatta amministrativa.

E’ noto che, in generale, le pretese rivolte nei confronti di un’impresa posta in liquidazione coatta amministrativa devono essere fatte valere in sede concorsuale e non in quella ordinaria. Il Giudice ordinario può infatti conoscere della controversia solo in un momento successivo, in conseguenza delle opposizioni od impugnazioni dello stato passivo formato in detta sede.

La domanda formulata in sede di cognizione ordinaria diventa, allora, improcedibile proprio in virtù delle norme inderogabilmente poste dal codice di rito a tutela del principio della “par condicio creditorum” le quali impongono che eventuali doglianze siano mosse in sede concorsuale.

Con specifico riguardo alla materia del diritto del lavoro, poi, la Cassazione con la pronuncia n. 19271 del 2013 ha avuto modo di ulteriormente precisare quanto segue: “In caso di sottoposizione ad amministrazione straordinaria della società datrice di lavoro, deve distinguersi tra le domande del lavoratore che mirano a pronunce di mero accertamento oppure costitutive (ad esempio, domanda di annullamento del licenziamento e di reintegrazione nel posto di lavoro) e domande dirette alla condanna al pagamento di somme di denaro (anche se accompagnate da domande di accertamento o costitutive aventi funzione strumentale). Per le prime va, infatti, riconosciuta la perdurante competenza del giudice del lavoro, mentre per le seconde opera (diversamente dal caso del fallimento, in cui si rinviene l’attrazione del foro fallimentare) la regola della improcedibilità o improseguibilità della domanda, per difetto temporaneo di giurisdizione  per tutta la durata della fase amministrativa di accertamento dello stato passivo dinanzi ai competenti organi della procedura, ferma restando l’assoggettabilità del provvedimento attinente allo stato passivo ad opposizione o impugnazione davanti al tribunale fallimentare.

Dunque, nel caso oggetto della pronuncia in esame il G. ha ritenuto di allinearsi a tale ultima, consolidata, tesi giurisprudenziale, confermando come con specifico riguardo alla materia del lavoro, a differenza di quanto previsto in via generale, è necessario distingue tra due diverse tipologie di domande: le domande di mero accertamento, per le quali permane la competenza del giudice del lavoro e le domande di condanna, per quali la regola è quella dell’improcedibilità per difetto temporaneo di giurisdizione per tutta la durata della fase amministrativa di accertamento dello stato passivo.

Si versa, allora, in una ipotesi di difetto temporaneo di giurisdizione e conseguente improcedibilità della domanda quando sia richiesto l’accertamento della natura subordinata del rapporto tra OMISSIS (in liquidazione coatta amministrativa) e i ricorrenti. Tale domanda, infatti, si pone come strumentale ad azioni di condanna, azioni che risultano ricomprese nelle seconda delle categorie indicate dalla giurisprudenza.

Seconda questione fondamentale che emerge dalla pronuncia in esame è quella che afferisce ai quesiti finalizzati ad ottenere la condanna delle parti resistenti al versamento dei contributi previdenziali, previa richiesta di integrazione del contraddittorio nei confronti dell’INPS.

Ponendo specifico riguardo a questo punto della decisione in esame vi è evidenziare come la giurisprudenza della S.C si sia più volte espressa in tema, in particolare con la pronuncia Cass. Civ., Sez Lav.3 luglio 2004,12213 con la quale ha avuto modo di precisare che: “tra datore di lavoro, lavoratore ed ente previdenziale non è configurabile un rapporto trilatero, ma tre rapporti bilaterali; ne consegue che deve escludersi la sussistenza di una situazione di litisconsorzio necessario con l’ente previdenziale in relazione alla domanda con la quale il lavoratore avanzi pretese di contenuto contributivo nei confronti del datore di lavoro”.

Ed allora, dovendosi escludere la sussistenza di una situazione di litisconsorzio necessario con l’ente previdenziale in relazione alla domanda con la quale il lavoratore avanzi pretese di contenuto contributivo nei confronti del datore di lavoro, appare evidente come non avendo provveduto la parte attrice a chiamare in giudizio l’Ente previdenziale, il Giudice non sarebbe potuto intervenire in sanatoria del contraddittorio nei confronti di tale terza parte.

Tra datore di lavoro, lavoratore ed ente previdenziale non sussiste infatti un rapporto trilatero, ma unicamente tre rapporti bilaterali.

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