Licenziamento. Requisito dell’immediatezza. Controlli difensivi occulti. Proporzionalità della Sanzione.

TRIBUNALE DI NAPOLI - Sezione Lavoro - Decreto del 28.06.2017 n. 22914 – Giudice: Dott.ssa AnnaMaria Lazzara

TRIBUNALE DI NAPOLI - Sezione Lavoro - Decreto del 12.07.2017 n. 24596 – Giudice: Dott.ssa Monica Galante

Massima

  • Tempestività della contestazione: inoltre, nell’accertamento del requisito dell’immediatezza, si deve tenere conto del rilievo che esso deve essere valutato anche in relazione alla possibilità che la reazione difensiva del lavoratore risulti utile a quest’ultimo vuoi per un’efficace giustificazione, vuoi per una graduazione della sanzione in proporzione al singolo addebito di volta in volta accertato e “immediatamente” contestato, posto che l’eccessivo ritardo nella contestazione rispetto al fatto contestato rende illegittimo il licenziamento anche perché, evidentemente, non consente un’adeguata possibilità di difesa.
  • Ammissibilità dei controlli difensivi c.d. occulti: può trarsi il principio della tendenziale ammissibilità dei controlli difensivi “occulti”, anche ad opera di personale estraneo all’organizzazione aziendale, in quanto diretti all’accertamento di comportamenti illeciti diversi dal mero inadempimento della prestazione lavorativa, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, ferma comunque restando la necessaria esplicazione delle attività di accertamento mediante modalità non eccessivamente invasive e rispettose delle garanzie di libertà e dignità dei dipendenti, con le quali l’interesse del datore di lavoro al controllo ed alla difesa della organizzazione produttiva aziendale deve contemperarsi e, in ogni caso, sempre secondo i canoni generali della correttezza e buona fede contrattuale.
  • Proporzionalità della misura: ai fini della valutazione dell’osservanza dell’obbligo di fedeltà, quel che rileva non è solo l’attività concreta e la sua lesività attuale, ma pure la sua natura sintomatica di un atteggiamento mentale del dipendente contrastante con quella leale collaborazione che costituisce l’essenza del rapporto di lavoro subordinato (cfr. Cass.nn.1143 e 7427 del 1995, n. 512 del 1997, n. 8208 del 1998, nn. 7990 e 13906 del 2000). Anche la sola previsione della possibilità del verificarsi di effetti dannosi per gli interessi del datore di lavoro, ossia la consapevolezza della potenzialità lesiva della condotta posta in essere, integra gli estremi dell’intenzionalità dell’infrazione.

Note:

            i casi analizzata dalle pronunce agli atti dello studio hanno ad oggetto licenziamenti irrogati a seguito di episodi di appropriazione indebita ai danni del datore di lavoro commessi durante lo svolgimento dell’attività lavorativa attraverso modalità elusive riscontrate dal datore di lavoro all’uopo incaricando una agenzia investigativa. Nello specifico, la prestazione lavorativa svolta dal lavoratore comportava la detenzione ed il maneggio di denaro aziendale (provento di vendite di beni anch’essi di proprietà aziendale), del quale il lavoratore aveva la custodia e l’obbligo di farne versamento al termine della prestazione. Avverso il suddetto provvedimento espulsivo, il lavoratore, proponeva impugnativa, adducendo diversi profili di illegittimità del licenziamento comminatogli.

In particolare, egli sosteneva: a) la violazione del principio di immediatezza dell’esercizio del potere disciplinare, deducendo che sarebbe intercorso troppo tempo tra la condotta addebitata e l’adozione della contestazione disciplinare, nonché tra quest’ultima ed il successivo atto di recesso; b) la violazione del principio di proporzionalità tra il comportamento imputato e la sanzione comminata; c) l’assenza di una giusta causa di licenziamento;

Con riguardo alle eccezioni di tardività avanzate dalle parti convenute, i giudicanti hanno ricordato come nel licenziamento per giusta causa la necessaria immediatezza della contestazione disciplinare rispetto ai fatti che lo giustificano deve essere intesa non in senso assoluto, ma relativo, si deve cioè tener conto della compatibilità con un intervallo temporale necessario per l’accertamento e la valutazione di tali fatti.

Ponendosi in linea di continuità con il consolidato orientamento giurisprudenziale della S.C. - cfr. tra le altre Cass. civ. Sez. lavoro, 22 ottobre 2007, n. 22066 – i giudicanti hanno precisato come nell’accertamento del requisito dell’immediatezza è necessario tener conto non tanto della distanza temporale fra la realizzazione dell’infrazione e il momento della contestazione, quanto alla tempestività della reazione del datore di lavoro rispetto alla conoscenza che egli abbia acquisito in ordine alla mancanza commessa dal dipendente.

Sposando, poi, un consolidato orientamento giurisprudenziale, con le menzionate pronunce i giudici hanno ammesso in linea tendenziale i c.d. controlli difensivi “occulti”. Tale ultima qualificazione connota quei controlli diretti ad accertare comportamenti illeciti dei lavoratori posti in essere, non già nell’esatto adempimento delle obbligazioni scaturenti dal rapporto di lavoro, ma finalizzati a tutelare beni del patrimonio aziendale ovvero ad impedire la perpetrazione di comportamenti illeciti, anche ove posti in essere da agenzie investigative ferma comunque restando la necessaria esplicazione delle attività di accertamento mediante modalità non eccessivamente invasive e rispettose delle garanzie di libertà e dignità dei dipendenti.

Terzo fondamentale profilo sul quale i magistrati hanno concentrato la loro analisi è quello che attiene al requisito della proporzionalità della misura, il licenziamento disciplinare, come ogni altre sanzione di tal genere, deve rappresentare una conseguenza proporzionata alla violazione commessa dal dipendente. Trattandosi in sostanza della più grave di tutte le sanzioni irrogabili, è dunque necessario che la mancanza di cui il dipendente si è reso responsabile rivesta una gravità tale che qualsiasi altra sanzione risulti insufficiente a tutelare l’interesse del datore di lavoro (Cass. 04/04/2000 n. 4138) è necessario, infatti, che il licenziamento si configuri tale da far venire meno l’elemento fiduciario costituente il presupposto fondamentale della collaborazione tra le parti del rapporto di lavoro.

Il detto giudizio di proporzionalità non va effettuato in astratto bensì con specifico riferimento a tutte le circostanze del caso concreto, all’entità della mancanza considerata non solo dal punto di vista oggettivo ma anche nella sua portata soggettiva ed in relazione al contesto in cui è stata posta in essere, ai moventi ed all’intensità dell’elemento intenzionale.

Ritiene in conclusione il giudice di allinearsi a quanto affermato dalla S.C. la quale con la pronuncia Cass. n. 19096 del 2013 ha precisato che: “ai fini della valutazione dell’osservanza dell’obbligo di fedeltà, quel che rileva non è solo l’attività concreta e la sua lesività attuale, ma pure la sua natura sintomatica di un atteggiamento mentale del dipendente contrastante con quella leale collaborazione che costituisce l’essenza del rapporto di lavoro subordinato (cfr. Cass.nn.1143 e 7427 del 1995, n. 512 del 1997, n. 8208 del 1998, nn. 7990 e 13906 del 2000). Anche la sola previsione della possibilità del verificarsi di effetti dannosi per gli interessi del datore di lavoro, ossia la consapevolezza della potenzialità lesiva della condotta posta in essere, integra gli estremi dell’intenzionalità dell’infrazione”.

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