Licenziamento per giustificato motivo. giudizio di opposizione. Cognizione piena.

TRIBUNALE DI ROMA – Sezione Lavoro – 11.08.2016 n. 1433 – Est. Giovanni Mimmo

Massima:

Il carattere peculiare di questo nuovo rito sta nell’articolazione del giudizio di primo grado in due fasi: una fase a cognizione semplificata (o sommaria) e una, definita di opposizione, a cognizione piena nello stesso grado. La prima fase è caratterizzata dalla mancanza di formalità: non c’è – rispetto al rito ordinario (quello delle controversie del lavoro) – il rigido meccanismo delle decadenze e delle preclusioni di cui agli artt. 414 e 416 cod. proc. civ.; l’istruttoria, essendo limitata agli «atti di istruzione indispensabili» , è semplificata o sommaria quale quella così qualificata nel procedimento di cui agli artt. 702 bis ss. cod. proc. civ.

La seconda fase è invece introdotta con un atto di opposizione proposto con ricorso contenente i requisiti di cui all’art. 414 cod. proc. civ., opposizione proposto con ricorso contenente i requisiti di cui all’art. 414 cod. proc. civ., opposizione che non è una revisio prioris istantiae ma una prosecuzione del giudizio di primo grado, ricondotto in linea di massima al modello ordinario, con cognizione piena a mezzo di tutti gli «atti di istruzione ammissibili e rilevanti».

Nota:

il caso oggetto della suindicata sentenza investe l’impugnazione, nella fase sommaria ed in quella di opposizione, del licenziamento comminato per giustificato motivo ad una lavoratrice in ragione dell’assenza ingiustificata dal lavoro per il periodo 31 luglio 2014 al 4 settembre 2014 (cd. giustificato motivo soggettivo).

Nel rigettare l’opposizione proposta, l’organo giudicante ha fatto proprie le conclusioni già precedentemente raggiunte dalla S.C. con la pronuncia, resa a Sez. Un. n. 19674 del 2014 così massimata: “E ammissibile il regolamento di giurisdizione proposto nella prima fase del procedimento di impugnativa di licenziamento, di cui all'art. 1, commi 47 e segg., della legge 28 giugno 2012, n. 92, la quale, pur caratterizzata da sommarietà dell'istruttoria, ha natura semplificata e non cautelare in senso stretto, non riferendosi la sommarietà anche alla cognizione del giudice, né sussistendo un'instabilità dell'ordinanza conclusiva di tale fase, che è idonea al passaggio in giudicato in caso di omessa opposizione.”.

Dunque, come noto, il procedimento d’impugnazione del licenziamento quale previsto dai commi 47 ss. dell’art. 1 della legge 28 giugno 2012, n. 92 costituisce uno speciale rito finalizzato all’accelerazione dei tempi del processo.

A parere del giudice, allora, va data peculiare rilevanza alle caratteristiche proprie dell’istituto in esame, caratterizzato dall’articolazione del giudizio di primo grado in due fasi distinte: una prima fase a cognizione semplificata, mirata a riconoscere al lavoratore una tutela rapida ed immediata, sulla base di atti di istruzione; una seconda, definita di opposizione, a cognizione piena con accesso per le parti a tutti gli atti di istruzione ammissibili e rilevanti.

Le peculiarità che contraddistinguono tale procedimento, ha ricordato il giudice, hanno mosso anche la Corte Costituzionale ad ulteriori considerazioni in merito all’ oggetto dell’ordinanza opposta rese con la sent. n.79 del 2015: “ l’opposizione non verte, infatti, sullo stesso oggetto dell’ordinanza opposta (pronuncia su un ricorso “semplificato”, e sulla base dei soli atti di istruzione ritenuti, allo stato, indispensabili), né è tantomeno circoscritta alla cognizione di errores in procedendo o in iudicando eventualmente commessi dal giudice della prima fase, ma – come già detto- può investire anche diversi profili soggettivi (stante anche il possibile intervento di terzi), oggettivi ( in ragione dell’ammissibilità di domande nuove, anche in via riconvenzionale, purché fondate sugli stessi fatti costitutivi) e procedimentali, essendo previsto che in detto giudizio possano essere dedotte circostanze di fatto ed allegati argomenti giuridici anche differenti da quelli già addotti e che si dia corso a prove ulteriori. Il che, appunto, esclude che la fase oppositoria (nell’ambito del giudizio di primo grado) – in cui la cognizione si espande in ragione non solo del nuovo apporto probatorio, ma anche delle ulteriori considerazioni svolte dalle parti, quantomeno in sede di discussione e nelle eventuali note difensive – possa configurarsi come la riproduzione dell’identico itinerario logico decisionale già seguito per pervenire all’ordinanza opposta. La quale – in esito alla fase di opposizione – è destinata, comunque, ad essere assorbita nella statuizione definitiva che conclude il primo grado del giudizio: decisione, quest’ultima, che può ben condurre ad un esito differente (rispetto a quello dell’ordinanza opposta) in virtù del nuovo materiale probatorio apportato al processo e del suo ampliamento soggettivo od oggettivo (nei limiti consentiti), anche alla luce della pressochè totale assenza di preclusioni e decadenze per le parti nell’ambito della prima fase”.

La fase di opposizione si caratterizza per uno spettro di cognizione diverso da quello oggetto dell’ordinanza opposta, è dunque da escludersi che la fase a cognizione piena possa configurarsi come la riproduzione dell’identico itinerario logico decisionale già seguito per pervenire all’ordinanza opposta.

Il provvedimento opposto, d’altronde, in esito alla fase di opposizione è destinato ad essere assorbito nella statuizione definitiva che conclude il primo grado del giudizio che può ben condurre ad un esito differente.

Ed in effetti, applicando gli enunciati principi di diritto al caso di specie, il giudice ha affermato che: “seppure nel giudizio di opposizione all’ordinanza siano ammissibili nuove censure non sollevate nella prima fase, poiché il giudizio di opposizione introduce un ordinario giudizio di cognizione soggetto alle medesime regole dei giudizi proposti ai sensi degli art. 414 e ss c.p.c., tutte le censure debbano essere sollevate nel ricorso introduttivo di cui all’art. 1, comma 51, norma citata, non potendo nel corso del giudizio essere fatti valere ulteriori motivi di illegittimità del licenziamento sui quali non si sia formato alcun contraddittorio”.

Così nel caso di specie, gli ulteriori motivi fatti valere dalla parte lavoratrice, sui quali non si era formato alcun contraddittorio, non potevano essere fatti valere, mentre erano da ritenersi pacifici i fatti che avevano determinato il licenziamento.

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