Licenziamento per giustificato motivo soggettivo. Assenza ingiustificata. Rito Fornero

TRIBUNALE DI ROMA – Sez. Lav. – 16.02.2016 n. 1433 – Est. Giovanni Mimmo
Massima:
1. Procedimento disciplinare – Provvedimento disciplinare di licenziamento per giustificato motivo soggettivo – Procedimento di impugnazione del licenziamento ex art. 1 comma 47 ss. della L. n. 92 del 2012 nelle ipotesi di cui all’art. 18 della L. n. 300 del 1970 – Accelerazione dei tempi del processo – Articolazione del giudizio di primo grado in due fasi: prima fase sommaria - seconda fase a cognizione piena ex art. 414 c.p.c..
2. Provvedimento disciplinare di licenziamento per giustificato motivo soggettivo – Richiesta di un periodo di aspettativa non retribuita ex art. 4 c.2 della L. n. 53 del 2000 –requisiti formali e sostanziali della richiesta – insussistenza – legittimo diniego da parte del datore di lavoro – assenza ingiustificata del lavoratore.
3. Facoltà del lavoratore di contestare giudizialmente il rigetto della domanda di aspettativa ritenuto illegittimo di cui al d.m. n. 278 del 2000.

1. Con il nuovo procedimento di impugnazione del licenziamento di cui all’art. 1, commi 47 ss. della L. n. 92/2012 per le ipotesi regolate dall’art. 18 della L. 300/1970, il giudizio di primo grado viene articolato in due fasi, delle quali la prima, sommaria e priva di formalità –mancando, rispetto al rito ordinario del lavoro, il rigido sistema delle decadenze e preclusioni-, la seconda invece di opposizione ed a cognizione piena, da introdurre con ricorso contenente i requisiti di cui all’art. 414 c.p.c.. In tale seconda fase - la quale non può configurarsi come la riproduzione dell’identico itinerario logico decisionale già seguito per pervenire all’ordinanza opposta - sono ammissibili nuove censure non sollevate nella prima fase, poiché il giudizio di opposizione introduce un ordinario giudizio di cognizione soggetto alle medesime regole dei giudizi proposti ai sensi degli artt. 414 e ss. c.p.c.; in ogni caso, tutte le censure debbono essere sollevate nel ricorso introduttivo di cui all’art. 1, comma 51, norma citata, non potendo nel corso del giudizio essere esaminati ulteriori profili di illegittimità del licenziamento sui quali non si sia formato alcun contraddittorio.
2. Nel caso di rigetto, da parte del datore di lavoro, della domanda di aspettativa non retribuita avanzata dal lavoratore ex art.4 c. 2 della L. 53/2000, l’eventuale illegittimità di tale diniego non autorizza il lavoratore ad assentarsi dal posto di lavoro senza alcuna giustificazione, costituendo tali assenze un inadempimento contrattuale giustificativo del provvedimento di licenziamento per giustificato motivo soggettivo per assenza dal lavoro non giustificata ex art. 63 lett. h) del C.C.N.L. Attività Ferroviarie.
3. Nel caso di rigetto, da parte del datore di lavoro, della domanda di aspettativa non retribuita avanzata dal lavoratore ex art.4 c. 2 della L. 53/2000, l’eventuale illegittimità di tale diniego non autorizza il lavoratore a “farsi giustizia” da sè assentandosi dal posto di lavoro senza alcuna giustificazione, potendo lo stesso contestare giudizialmente il provvedimento datoriale ritenuto illegittimo mediante apposita richiesta di riesame dell’istanza entro venti giorni dal diniego opposto, come previsto dal d.m. n. 278 del 2000. Nel caso di presentazione della domanda di aspettativa non retribuita di cui all’art. 4 c. 2 ss. della L. n. 53/2000 e del d.m. n. 278/2000 cui tale legge rimanda, la suddetta istanza, per essere accolta, deve essere fornita di tutti i requisiti sanciti dalla suddetta norma, risultando altrimenti pienamente legittimo il diniego da parte del datore di lavoro per insussistenza dei requisiti imposti dalla L. n. 53/2000 e dal d.m. n. 278/2000.

Nota: La presente sentenza agli atti dello studio si contraddistingue per la pluralità dei temi trattati sia di carattere processuale che sostanziale. Infatti, con ricorso in opposizione ex art. 1 c. 51 della L. n. 92/2012 avverso il licenziamento comminato per giustificato motivo soggettivo da parte dell’azienda datore di lavoro, il lavoratore deduceva diversi profili attinenti l’asserita illegittimità del provvedimento espulsivo.
Si segnala anzitutto che in rito il ricorrente, come rilevato dal Giudice preliminarmente, solo in sede di note conclusionali ha sollevato ulteriori censure al provvedimento impugnato, non proposte né con il ricorso introduttivo di cui all’art. 1 c. 48 della L. n. 92/2012, né con il successivo ricorso in opposizione. Tale profilo processuale riveste particolare interesse, alla luce soprattutto delle novità introdotte dalla summenzionata Legge Fornero in relazione allo speciale rito per le controversie aventi ad oggetto l’impugnativa dei licenziamenti di cui alle ipotesi dell’art. 18 L. 300/1970. Peculiarità del suddetto rito, finalizzato a rendere i tempi processuali più celeri ed accessibili, consiste nell’articolazione del giudizio di I grado in due distinte fasi, delle quali la prima – di carattere sommario – priva di formalità inerenti preclusioni e decadenze e con istruttoria semplificata alla stregua del procedimento di cui agli artt. 702 bis ss.c.p.c.; la seconda fase, invece, di opposizione ed a cognizione piena, deve essere introdotta tramite ricorso in opposizione conformato ai requisiti di cui all’art. 414 c.p.c., il quale rappresenta una prosecuzione del giudizio di primo grado e non una “revisio prioris istantiae”, con cognizione piena tramite tutti gli atti di istruzione ammissibili e rilevanti. Quanto affermato non esclude, tuttavia, che nel giudizio di opposizione – il quale non si configura come la riproduzione dell’identico itinerario logico decisionale già seguito per pervenire all’ordinanza opposta – possano essere proposte nuove censure non sollevate nella prima fase, purché le stesse siano sollevate nel ricorso introduttivo di cui all’art. 1 c. 51 della L. 92/2012.
Ulteriore ragguardevole profilo indagato dalla presente pronuncia attiene la disamina del procedimento alla base della richiesta di un periodo di aspettativa non retribuita di cui all’art. 4 c. 2 della Legge n. 53/2000 e le caratteristiche che la stessa deve avere a pena di inaccoglibilità per insussistenza dei requisiti di cui alla L. n. 53/2000 e del d.m. n. 278/2000. A tal riguardo, deduceva il ricorrente di aver inoltrato richiesta all’azienda resistente affinché gli venisse concesso un periodo di aspettativa non retribuita per assistere il figlio minore di anni nove. Il datore di lavoro rigettava la richiesta per mancanza dei requisiti per riconoscerla, ribadendo in tale occasione che i periodi di assenza personali debbano essere specificamente autorizzati dall’azienda e non assunti arbitrariamente dal dipendente. Quindi, stante l’assenza ingiustificata del lavoro per 35 giorni, il datore di lavoro si determinava con procedimento disciplinare a irrogare il provvedimento espulsivo per giustificato motivo soggettivo.
Il Giudice chiarisce la differenze tra i due istituti di cui all’art. 47 c.2 del D.Lgs. 151/2001 – ovverosia la facoltà di assentarsi dal lavoro in caso di malattia del figlio di età compresa tra i 3/8 anni nel limite di cinque giorni lavorativi all'anno – e quello di cui all’art.4 c. 2 della L. 53/2000 – disciplinante la facoltà di fruire di un periodo di aspettativa non retribuita previa autorizzazione del datore di lavoro. Concludendo che nel caso di specie il ricorrente, dati i giorni di assenza, evidentemente non si è avvalso della prima facoltà, della quale non avrebbe comunque avuto diritto data l’età del figlio minore; altrettanto palesemente non ha usufruito nemmeno della seconda di dette facoltà, da questi tuttavia arbitrariamente esercitata nonostante la mancata autorizzazione da parte del datore di lavoro, integrando pertanto l’assenza così resa un inadempimento contrattuale.
Infine, il rigetto dell’opposizione è motivato dal Giudice anche ritenendo il diniego dell’aspettativa legittimamente assunto dal datore di lavoro, mancando la domanda proposta dal ricorrente non solo dei requisiti formali di cui all’art. 3 del d.m. 278/2000, ma anche non avendo lo stesso dimostrato la ricorrenza di una delle ipotesi costituenti “grave motivo” che giustifichi l’aspettativa ai sensi dell’art. 2 del suddetto decreto. Corollario delle deduzioni sinora esposte risulta essere il profilo soggettivo della colpevolezza addebitabile al lavoratore, e dal Giudice rimarcato considerando come il diniego dell’aspettativa da parte della società resistente sia stato tempestivamente comunicato al dipendente, il quale pertanto ne era a conoscenza prima dell’inizio delle sue assenze non giustificate e non giustificabili alla luce della richiesta dell’aspettativa frattempo negata. E a nulla rileva il fatto che il dipendente giustifichi tale mancanza dal posto di lavoro sulla base della ritenuta – arbitrariamente – illegittimità del diniego dell’aspettativa da parte dell’azienda, considerando inoltre che lo stesso avrebbe comunque potuto contestare, anche giudizialmente, il provvedimento datoriale ai sensi del d.m. n. 278/2000.
Alla luce delle suesposte deduzioni, il Giudice condannava parte ricorrente al pagamento delle spese a favore del datore di la

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