LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA

Tribunale di Bari – sezione lavoro, decreto n. 10785 del 7.03.2022 – Giudice dottor Giuseppe Minervini

Massima:

in tema di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità tra addebito e recesso, rileva ogni condotta che, per la sua gravità, possa scuotere la fiducia del datore di lavoro e far ritenere la continuazione del rapporto pregiudizievole agli scopi aziendali, essendo determinante, in tal senso, la potenziale influenza del comportamento del lavoratore, suscettibile per le concrete modalità e il contesto di riferimento, di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento, denotando scarsa inclinazione all’attuazione degli obblighi in conformità a diligenza, buona fede e correttezza. Spetta al giudice di merito valutare la congruità della sanzione espulsiva, non sulla base di una valutazione astratta dell’addebito, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto del fatto, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico della sua gravità, rispetto ad un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnandosi rilievo alla configurazione delle mancanze operata dalla contrattazione collettiva, all’intensità dell’elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto, alla durata dello stesso, all’assenza di pregresse sanzioni, alla natura e alla tipologia del rapporto medesimo (cfr. in termini ex multis Cass. civ. Sez. lavoro, 9-05-2012, n. 7096). Dalle considerazioni finora svolte è emerso che per le giornate anzidette l’istante ha posto in essere i comportamenti (in senso commissivo ed omissivo) su individuati che, in considerazione delle mansioni di pertinenza così come delineati nel CCNL e nel Regolamento aziendale c.d mansionario, giustificano ex se ai sensi dell’art. 2119 e 2105 c.c. la sanzione espulsiva irrogata anche secondo il disposto del CCNL. Ove si consideri la volontarietà, la gravità e molteplicità delle condotte in contestazione e la lesione all’immagine aziendale che è scaturita per la società convenuta (atteso che i fatti in discorso sono stati oggetto di segnalazione da parte del personale della committente nella veste di predetti capi treno), ed il danno patrimoniale subito (pari complessivamente ad euro 10.000,00, come sopra dedotto) non pare dubbio, ad una cognizione sommaria tipica del rito esperito, che tutte queste circostanze abbiano inficiato in modo irreversibile il rapporto fiduciario corrente inter partes, integrando una giusta causa di licenziamento anche ai sensi dell’art. 2119 c.c.. In tal senso depongono anche gli illuminanti rilievi svolti dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui l’obbligo di fedeltà, la cui violazione può rilevare come giusta causa di licenziamento, si sostanzia nell’obbligo di un leale comportamento del lavoratore nei confronti del datore di lavoro e va collegato con le regole di correttezza e buona fede (C. 11220/2004). L’obbligo di fedeltà a carico del lavoratore subordinato viene collegato ai principi generali di correttezza e buonafede ex artt. 1175 e 1375 (C. 12489/2003), e, pertanto, impone al lavoratore di tenere un comportamento leale nei confronti del proprio datore di lavoro, astenendosi da qualsiasi atto idoneo a nuocergli anche potenzialmente, per cui ai fini della valutazione dell’obbligo di fedeltà incombente sul lavoratore ex art. 2105, è sufficiente la mera preordinazione di una attività contraria agli interessi del datore di lavoro anche solo potenzialmente produttiva di danno (C. 12486/2003 (…)). Il dovere di fedeltà, sancito dall'art. 2105, si sostanzia nell'obbligo del lavoratore di tenere un comportamento leale verso il datore di lavoro e di tutelarne in ogni modo gli interessi (C. 9056/2006). Il lavoratore, pertanto deve astenersi non solo dai comportamenti espressamente vietati dall'art. 2105, ma anche da tutti quelli che, per la loro natura e le loro conseguenze, appaiono in contrasto con i doveri connessi all'inserimento del lavoratore nella struttura e nell'organizzazione dell'impresa (C. 9056/2006) o sono idonei, comunque, a ledere irrimediabilmente il presupposto fiduciario del rapporto stesso (C. 11220/2004). Passando al caso di specie è agevole rilevare che le condotte in contestazione appaiono in contrasto con il dovere di fedeltà, avendo manifestato con le stesse l'istante palese trascuranza per la tutela degli interessi aziendali”.

 

Nota:

La suindicata pronuncia, agli atti dello scrivente Studio Legale, ha ad oggetto l’impugnazione del licenziamento per giusta causa intimato al lavoratore in seguito alla tenuta, da parte di quest’ultimo, di un comportamento contrario al dovere di correttezza, buona fede e lealtà nei confronti dell’azienda nell’espletamento delle mansioni ad egli affidate. In particolare, detto licenziamento veniva intimato per aver egli completamente disatteso non solo i compiti afferenti alla sua attività lavorativa, ma altresì per l’aver disatteso e mal gestito le contestazioni derivanti dall’ulteriore personale impiegato sul luogo di lavoro e per non aver fornito alcuna prova in ordine alle ragioni che lo avrebbero asseritamente condotto alla tenuta di tali comportamenti.

Con la predetta pronuncia, il Giudice del Lavoro ha ritenuto di dover rigettare l’impugnazione del licenziamento per giusta causa intimato dall’azienda, in considerazione del generale obbligo di fedeltà e lealtà incombente sul prestatore di lavoro subordinato, del tutto disatteso e leso nel caso di specie al punto da provocare all’azienda, in ragione della condotta posta in essere dallo stesso, notevoli danni patrimoniali.

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