Licenziamento per giusta causa. Appropriazione indebita.
CORTE DI APPELLO DI NAPOLI - Sezione Lavoro - 29.04.2019 – Est. Dott.ssa Agostinaccio
Oggetto: reclamo avverso la sentenza del Tribunale di Napoli n. 3050/2018 del 27.4.2018
La sentenza in commento prende le mosse dal reclamo proposto ex art. 1, comma 58, L. 92/2012 nei confronti della società OMISSIS avverso la sentenza del Tribunale di Napoli in funzione di Giudice del Lavoro con la quale veniva rigettata l’opposizione volta ad ottenere la revoca dell’ordinanza con cui veniva respinta l’impugnativa del licenziamento.
Il caso alla base della presente pronuncia ha ad oggetto un licenziamento irrogato a seguito di episodi di appropriazione indebita ai danni del datore di lavoro commessi dal lavoratore durante lo svolgimento dell’attività lavorativa e riscontrati dall’agenzia investigativa, all’uopo incaricata.
Il giudice di prime cure ha motivato escludendo ogni dubbio in ordine al fatto che la lavoratrice abbia in concreto realizzato la condotta contestata e con riguardo alle censure mosse in tema di proporzionalità del licenziamento, si è allineato a quella consolidata posizione della giurisprudenza di legittimità che ha richiesto una valutazione complessiva degli elementi soggettivi ed oggettivi posti a fondamento della sanzione disciplinare: “Per stabilire l’esistenza di una giusta causa di licenziamento occorre accertare in concreto se, in relazione alla qualità del singolo rapporto intercorso tra le parti, alla posizione che in esso abbia avuto il prestatore di lavoro, e, quindi, alla qualità ed al grado del particolare vincolo di fiducia che quel rapporto comportava, la specifica mancanza commessa dal dipendente, considerata e valutata non solo nel suo contenuto obbiettivo, ma anche nella sua portata soggettiva, specie con riferimento alle particolari circostanze e condizioni in cui è stata posta in essere, ai suoi modi, ai suoi effetti ed all’intensità dell’elemento psicologico dell’agente, risulti obiettivamente e subiettivamene idonea a ledere, in modo grave, così da farla venire meno, la fiducia che il datore di lavoro ripone nel proprio dipendente e tale, quindi, da esigere una sanzione non minore di quella massima, definitivamente espulsiva.” (Cfr tra le altre Cass. lav., 25.5.95, n. 5742).
In sede di reclamo la lavoratrice si limitava a rivendicare la propria estraneità alla vendita censurata ed attribuiva a mera dimenticanza la mancata annotazione del prodotto e dell’incasso.
Il Collegio ha condiviso in toto la ricostruzione effettuata dal giudice di prime cure in ordine alla responsabilità della lavoratrice nella vendita oggetto di contestazione atteso che, da un lato, la stessa si basa sulla testimonianza di due agenti investigativi all’uopo incaricati e dall’altro, la gestione dei documenti amministrativi era priva di riferimenti ai prodotti venduti, inventariati in modo inadeguato all’evidente scopo di celare l’appropriazione del prezzo di vendita.
Il Collegio, in completa aderenza a quanto già sostenuto dal giudice di prime cure, ha dunque ritenuto del tutto infondata la tesi della reclamante, peraltro differente da quella sostenuta in sede di opposizione, ed a fronte degli univoci elementi probatori non smentiti da alcun elemento fattuale valido e di segno opposto ha disatteso le censure sollevate dalla lavoratrice.