Licenziamento per giusta causa. Principio di tempestività e immediatezza. Proporzionalità tra il fatto e la sanzione inflitta.
- TRIBUNALE DI NAPOLI – Sezione Lavoro e Prev. – 10.10.2016 n. 7224 – Est. Maria Vittoria Ciaramella
Massima:
1. Procedimento disciplinare – Provvedimento disciplinare di licenziamento per giusta causa – Richiesta di audizione del lavoratore - Decorrenza del termine di dieci giorni ex art. 66 c. 7 CCNL AF per l’irrogazione del provvedimento – Sospensione della decorrenza sino all’audizione.
2. Procedimento disciplinare – Provvedimento disciplinare di licenziamento per giusta causa - Principio dell’immediatezza della contestazione rispetto alla istruttoria disciplinare.
3. Provvedimento disciplinare di licenziamento per giusta causa – Valutazione della giusta causa nel concreto – principio di proporzionalità tra condotta e sanzione - Lesione del vincolo fiduciario.
4. Eccezione di inattendibilità di un teste – irrilevanza delle qualità e dei titoli abilitativi in capo al soggetto– Rigetto dell’eccezione.
1. La ratio di cui alla norma ex art. 66 comma 7 del CCNL AF va ravvisata nell’intenzione di garantire al datore di lavoro uno spatium deliberandi di 10 giorni per la tempestiva irrogazione del recesso, previa adeguata ponderazione delle giustificazioni rese; pertanto, il termine di 10 giorni va inteso come decorrente dalla data dell’audizione, il cui scopo è proprio quello di tutelare il diritto di difesa del lavoratore contestato e concludere l’istruttoria.
2. L’immediatezza della contestazione va intesa pacificamente in senso relativo, potendo essere compatibile con un intervallo di tempo più o meno lungo, quando l’accertamento e la valutazione dei fatti richieda uno spazio temporale maggiore ovvero in relazione alla complessità della struttura organizzativa dell’impresa.
3. La giusta causa di licenziamento esiste qualora, tenuto conto in concreto della qualità del singolo rapporto intercorso tra le parti, della posizione del lavoratore e del conseguente grado di affidamento e del disvalore ambientale della sua condotta come modello diseducativo per gli altri dipendenti, nonché dell’intensità dell’elemento intenzionale (consistita nel dolo, o quantomeno nella gravissima negligenza del lavoratore), sussiste la proporzionalità tra tali fatti e la sanzione inflitta, quando la condotta risulti gravemente lesiva del vincolo fiduciario facendo ritenere la continuazione del rapporto pregiudizievole agli scopi aziendali.
4. La valutazione sull’attendibilità di un testimone ha ad oggetto il contenuto della dichiarazione resa e non può essere appurata aprioristicamente e per categorie di soggetti, ad esempio considerando l’assenza di particolari autorizzazioni volte all’espletamento di determinate attività lavorative o il luogo di residenza del teste, così da escluderne “ex ante” la capacità a testimoniare.
Nota: il caso analizzato dalle pronunce agli atti dello studio ha ad oggetto un licenziamento irrogato a seguito di episodi di appropriazione indebita ai danni del datore di lavoro commessi durante lo svolgimento dell’attività lavorativa attraverso modalità elusive riscontrate dal datore di lavoro all’uopo incaricando una agenzia investigativa. Nello specifico, la prestazione lavorativa svolta dal lavoratore comportava la detenzione ed il maneggio di denaro aziendale (provento di vendite di beni anch’essi di proprietà aziendale), del quale il lavoratore aveva la custodia e l’obbligo di farne versamento al termine della prestazione. Avverso il suddetto provvedimento espulsivo, il lavoratore, prima con ricorso introduttivo ex art. 1 c. 48 L. 92/2012 poi con ricorso in opposizione ex art. 1 c. 51 della medesima Legge, proponeva impugnativa, adducendo diversi profili di illegittimità del licenziamento comminatogli. In particolare, egli sosteneva: a) la tardività del provvedimento espulsivo e la conseguente estinzione dello stesso, poiché asseritamente adottato decorso del termine di dieci giorni di cui all’art. 66 c. 7 del CCNL AF Mobilità 2012; b) la violazione del principio di immediatezza dell’esercizio del potere disciplinare, deducendo che sarebbe intercorso troppo tempo tra la condotta addebitata e l’adozione della contestazione disciplinare, nonché tra quest’ultima ed il successivo atto di recesso; c) la violazione del principio di proporzionalità tra il comportamento imputato e la sanzione comminata; d) l’assenza di una giusta causa di licenziamento; e) la presunta inattendibilità delle dichiarazioni rese come teste dall’investigatore privato incaricato dal datore di lavoro, poiché asseritamente privo delle autorizzazioni per lo svolgimento di tale attività. Il Giudice, sia nella fase sommaria che in quella di opposizione, rigettava il ricorso così promosso, sulla base di specifiche deduzioni che di seguito si riportano.
In merito all’asserita tardività dell’atto di recesso adottato dall’azienda, il Giudice afferma che il termine di dieci giorni indicato nel CCNL AF Mobilità 2012 decorre dalla data dell’audizione a difesa richiesta dal lavoratore stesso, poiché, se da un lato costituisce un diritto inviolabile e garantito quello del lavoratore di essere ascoltato per esporre le proprie giustificazioni qualora ne faccia richiesta, anche se ciò comporti una sospensione della decorrenza del termine di cui sopra, dall’altra anche per il datore di lavoro vige lo stesso trattamento di “favor”, costituendo certamente il comportamento tenuto dal dipendente nel fornire le proprie ragioni solo in sede di audizione una causa di forza maggiore. In considerazione di ciò, il suddetto profilo veniva rigettato.
Parimenti è stato respinto quanto sostenuto dal dipendente circa la presunta violazione del principio di immediatezza. Al riguardo, il Giudice richiama quanto largamente ribadito da costante giurisprudenza di legittimità, secondo la quale il principio di immediatezza – il quale rappresenta sia un elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro, sia garanzia del diritto di difesa del lavoratore – deve essere inteso in senso relativo, incidendo su di esso diverse circostanze, quali la complessità della struttura organizzativa dell’azienda e dei fatti contestati, il cui accertamento può richiedere un certo intervallo di tempo più o meno lungo.
Quindi, ritenuti i fatti di causa provati dal datore di lavoro sia documentalmente che per testi, il Giudice non ha ritenuto violato neppure il principio di proporzionalità tra la condotta addebitata e la sanzione espulsiva adottata, tenuto conto proprio dell’intensità della violazione della buona fede contrattuale alla base del rapporto di lavoro così accertata. Al riguardo, sostiene il Giudice che l’esistenza della giusta causa di licenziamento deve essere valutata tenendo conto, in concreto, della qualità del singolo rapporto intercorso tra le parti, della posizione del lavoratore e del conseguente grado di affidamento e di fiducia che il rapporto comportava. La grave negazione di tali elementi – come accertata nel caso di specie - è idonea a ledere, tanto profondamente da farla venire meno, la fiducia che il datore di lavoro ripone nel proprio dipendente, e da giustificare pertanto una giusta causa di espulsione dal contesto lavorativo, tenuto anche conto del disvalore sociale ed ambientale della condotta imputata anche quale modello diseducativo per gli altri dipendenti.
Infine, relativamente all’asserita inattendibilità delle dichiarazioni rese in sede di deposizione testimoniale dall’investigatore privato assunto dalla società, fermo e consolidato il potere del datore di avvalersi di investigatori privati nell’esercizio del potere di controllo del personale, afferma il Giudice come la valutazione sull’affidabilità di quanto deposto da un teste non possa essere appurata aprioristicamente e per categorie di soggetti - ad esempio considerando l’assenza di particolari autorizzazioni volte all’espletamento di determinate attività lavorative o il luogo di residenza del teste - ma debba avere ad oggetto il mero contenuto della dichiarazione resa, correndo altrimenti il rischio di escluderne “ex ante” la capacità a testimoniare.