Licenziamento per giusta causa. Specificità della contestazione. Appropriazione di somme spettanti al datore di lavoro.

TRIBUNALE DI NAPOLI – Sez. Lav. – 11.08.2015 n. 20313 – Est. Roberto Pellecchia
TRIBUNALE DI NAPOLI – Sez. Lav. – 22 marzo 2016 n. 2620 – Est. Clara Ruggiero

Massime:
1. Procedimento disciplinare – Provvedimento disciplinare di licenziamento per giusta causa - Principio di specificità della contestazione.
2. Valutazione della legittimità del licenziamento disciplinare – Accertamento in concreto della riconducibilità della condotta sanzionata alla nozione legale di giusta causa.
3. Appropriazione da parte del lavoratore di somme spettanti al datore di lavoro – Disvalore sociale della condotta e danno all’immagine del datore di lavoro.

1. La specificità della contestazione disciplinare costituisce un requisito imprescindibile della stessa, posto che essa ha lo scopo di consentire al lavoratore incolpato l’immediata difesa; per garantire la specificità non occorre l’osservanza di schemi prestabiliti e rigidi, purché siano fornite al lavoratore le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti addebitati.
2. La valutazione in ordine alla legittimità del licenziamento disciplinare di un lavoratore deve essere in ogni caso effettuata attraverso un accertamento in concreto, da parte del giudice del merito, della reale entità e gravità del comportamento addebitato al dipendente, nonché del rapporto di proporzionalità tra sanzione e infrazione, anche quando si riscontri la astratta corrispondenza del comportamento del lavoratore alla fattispecie tipizzata contrattualmente, occorrendo sempre che la condotta sanzionata sia riconducibile alla nozione legale di giusta causa, tenendo conto della gravità del comportamento in concreto del lavoratore, anche sotto il profilo soggettivo della colpa o del dolo, con valutazione in senso accentuativo rispetto alla regola generale della “non scarsa importanza” dettata dall’art. 1455 c.c.
3. La condotta del lavoratore che si appropri di somme di denaro spettanti al datore di lavoro, sia per la sua materialità, sia per l’elemento psicologico desumibile dalle modalità di esecuzione, anche considerando il forte disvalore sociale ed il danno all’immagine del datore di lavoro nei confronti dei terzi, costituisce un fatto sanzionabile con il licenziamento alla stregua della previsione di cui all’art. 64 lett. A) CCNL AF.

Nota: il caso oggetto delle suindicate sentenze investe l’impugnazione, nella fase sommaria ed in quella di opposizione, del licenziamento comminato per giusta causa ad un lavoratore, responsabile delle vendite e degli incassi per conto dell’azienda nonché tenuto alla formazione e compilazione della documentazione amministrativa e contabile per conto dell’azienda; in relazione alle attività svolte per conto dell’azienda, quest’ultima contestava l’indebita sottrazione di somme aziendali ricevute nello svolgimento della prestazione lavorativa quale corrispettivo di vendite eseguite in favore della clientela.
Quanto alle censure di genericità della contestazione disciplinare sollevate dal lavoratore, i Giudici hanno rigettato il ricorso – introduttivo e di opposizione – ritenendo che tale requisito sia osservato ogni qualvolta venga consentito al lavoratore di individuare, nella sua materialità, il fatto addebitatogli.
Nel merito il Giudice ha ritenuto che, nel valutare la legittimità del licenziamento comminato, l’accertamento in ordine al rispetto del principio di proporzionalità e di adeguatezza tra la sanzione adottata e la condotta posta in essere, debba essere condotto attraverso una valutazione complessiva della condotta perpetrata (sia dal punto di vista materiale sia soggettivo), la quale deve comunque integrare un inadempimento di non scarsa importanza e ciò anche quando si riscontri la astratta corrispondenza del comportamento del lavoratore alla fattispecie tipizzata contrattualmente.
Pertanto, appurati i fatti alla stregua dei suddetti canoni i Giudici, nel caso di specie, hanno riconosciuto la grave compromissione del vincolo fiduciario anche in ragione dell’evidente danno all’immagine subito dall’azienda, ma anche del disvalore sociale ed ambientale rivestito dalla condotta di chi, addetto allo svolgimento di mansioni che richiedano il maneggio di denaro aziendale, se ne appropri indebitamente a danno della società, fino ad assurgere a modello diseducativo nei confronti dei restanti colleghi.
Alla luce delle suesposte deduzioni, il Giudice, sia nella fase sommaria che in quella di opposizione, condannava parte ricorrente al pagamento delle spese di lite.

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