Covid 19 e la sospensione dei licenziamenti
Di particolare importanza ed attualità riveste la questione relativa al “blocco dei licenziamenti” imposto dal Governo italiano a causa della perdurante situazione emergenziale determinata da Covid 19 (c.d. Coronavirus); “sospensione” i cui ambiti applicativi risultano allo stato attuale ancora incerti ed in relazione ai quali lo scrivente studio ha richiesto, tramite interpello, l’intervento chiarificatore del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
Per quanto qui di interesse, l’art. 46 del Decreto Legge del 17 marzo 2020 n. 18, successivamente convertito in L. n. 27/2020, -da una parte- ha disposto la sospensione per 60 giorni dell’avvio delle procedure di licenziamento collettivo e la sospensione di quelle pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020, -dall’altra- ha precluso ai datori di lavoro di recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3, della Legge 15 luglio 1966, n. 604; riferendosi tale ultima norma ai licenziamenti per giustificato motivo oggettivo di tipo “economico” ossia determinati da ragioni inerenti all’attività produttiva.
La ratio dell’art. 46, rivelata anche dallo strumento normativo utilizzato (i.e la decretazione d’urgenza), risiede nel tentativo di evitare che le difficoltà economiche, determinate dalla pandemia Covid-19 che stanno affliggendo le piccole, medie e grandi imprese, abbiano riflessi sui livelli occupazionali.
Dovrebbe discenderne, quindi, che l’art. 46, sin dalla sua originaria formulazione, abbia avuto ad oggetto solo i licenziamenti che fossero connessi alla contrazione economica/della domanda/dei servizi conseguente alla situazione emergenziale, escludendo quelli le cui cause fossero determinate da ragioni esterne ed estranee al Covid 19 e ad i conseguenti effetti economici.
Nessun mutamento nella voluntas legis sopra indicata dovrebbe ritenersi conseguente alla entrata in vigore del Decreto Legge 19 maggio 2020 n. 34 che con l’art. 80 ha integrato il predetto art. 46 disponendo “All'articolo 46 del decreto-legge 17 marzo 2020 n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 1, le parole: "60 giorni" sono sostituite dalle seguenti: "cinque mesi" ed è aggiunto infine il seguente periodo: "Sono altresì sospese le procedure di licenziamento per giustificato motivo oggettivo in corso di cui all'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604.".
L’intervento normativo dovrebbe avere avuto il solo intento e l’effetto di rendere “simmetriche” e speculari le disposizioni di cui al primo periodo dell’art 46, preclusive e sospensive dei licenziamenti collettivi e delle relative procedure, con quelle del secondo periodo dell’art 46, che riferendosi ai licenziamenti (rectius: recesso dal contratto) per giustificato motivo oggettivo di cui all’art. 3 della L. 604/1966, precludevano al datore di lavoro –appunto- di “recedere dal contratto” senza nulla disporre riguardo alle procedure avviate a tal fine.
In altri termini, la lettura sistematica delle norme in commento, organicamente interpretate anche alla luce della ratio della disposizione a cui l’art. 80 accede, dovrebbe condurre a ritenere che se originariamente l’art. 46 per i soli licenziamenti collettivi precludeva l’avvio delle relative procedure e sospendeva quelle in corso, mentre per i licenziamenti “economici” di cui all’art 3 della L. 604/1966 precludeva unicamente al datore di lavoro di recedere dal contratto, senza tuttavia impedire l’avvio della relativa procedura o sospendere quella in atto, a seguito dell’intervento dell’art. 80 D.L. 34/2020, sempre e solo con riferimento ai licenziamenti economici conseguenti alla congiuntura economica determinata dal Covid-19, anche le procedure di cui all’art.7 della L. 604/1966, eventualmente già avviate, sono sospese.
Di talché dovrebbe escludersi che l’intervento normativo apportato con il D.L. 34/2020 abbia potuto ampliare l’ambito applicativo dell’art. 46 D.L. 18/2020, includendo nel novero delle preclusioni licenziamenti che, pur avvalendosi della procedura di cui all’art.7 della L. 604/1966, economici non sono. Come il caso della procedura (ed il conseguente licenziamento) avviati per “inidoneità permanente alla mansione” accertata ai sensi del TU sicurezza, i quali, ancorchè avviati con la procedura di cui all’art. 7 de quo, in realtà non hanno una ragione economica nel senso voluto dal DL ma affondano le loro ragioni in circostanze per nulla riferibili alla situazione emergenziale.
Tuttavia, a fronte del tenore letterale delle norme sopra richiamate che hanno imposto la sospensione dei licenziamenti collettivi e di tipo economico, si registrano “prassi” ed orientamenti interpretativi di segno inverso, volti ad estendere tale sospensione a licenziamenti che pur rientranti nella categoria dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo non sono di tipo economico, quali quelli determinati da un’inidoneità fisica permanente del lavoratore.
Una siffatta interpretazione di tipo estensivo determinerebbe un ingiusto danno nei confronti del datore di lavoro, che nel caso di inidoneità fisica permanente del lavoratore, pur non potendo impiegare né ora né in futuro un proprio dipendente, sarebbe costretto tuttavia a sostenere ingiustamente i costi connessi al perdurare del rapporto di lavoro pur non potendone utilizzare la prestazione; effetto che nell’attuale contesto è decisamente contrario agli intenti ed agli sforzi sino ad ora profusi tramite i continui interventi normativi, volti proprio a non aggravare ulteriormente la posizione delle imprese datrici di lavoro.
Ulteriormente, non può non evidenziarsi che una tale interpretazione si porrebbe in aperto contrasto con i diritti costituzionalmente garantiti, ed in particolar modo con la libertà di impresa di cui all’art. 41 Cost. che verrebbe ingiustificatamente compressa, con conseguente grave nocumento, senza alcuna ragione “emergenziale” da tutelare.
Allo stato attuale, quindi, si ritiene che sussista una delicata ed importante questione in ordine all’ambito applicativo dell’art. 46 del D.L. 18/2020 s.m.i., in relazione alla quale lo scrivente studio ha sollecitato con apposito interpello l’intervento del Ministero delle Politiche Sociali affinché lo stesso fornisca il proprio parere in ordine alla corretta interpretazione dell’art. 46 del D.l. 18/2020 così come modificato dall’art. 80 lett. a) del D.l. 34/2020, chiarendo se la procedura ed il conseguente possibile licenziamento determinato da un’inidoneità permanente alla mansione possa ritenersi ricompreso nell’ambito applicativo dell’art. 46 D.l. 18/20.